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Facebook perde in Borsa e “paga” per il caso Cambridge Analytica: ecco una guida completa a quel che sta succedendo

Negli ultimi giorni Facebook, il social network più noto e usato al mondo, ha perso evidente terreno durante le negoziazioni sui mercati regolamentati statunitensi. Accuse di incongruo trattamento dei dati e pressanti richieste di chiarimenti da questa e dall’altra parte dell’Oceano stanno aprendo dei risvolti inattesi sulla società di Mark Zuckerberg, che insieme a Cambridge Analytica sta pagando duramente il prezzo dello scandalo.

Ma che cosa è successo? Che cosa è Cambridge Analytica? E perché Facebook è finita nell’occhio del ciclone?

Che cosa è successo

Iniziamo con ordine. Lo scorso weekend alcuni quotidiani americani (principalmente, il New York Times) hanno pubblicato una serie di articoli che sosterrebbero un utilizzo scorretto dei dati prelevati da Facebook da parte di Cambridge Analytica, società di consulenza e marketing online.

I dossier hanno ottenuto una ribalta mondiale immediata, poiché – in fondo – conferma l’impressione comune di come Facebook fatichi a disciplinare il modo con cui i dati sono utilizzati. Non solo: in un clima di crescente suscettibilità nei confronti di quel che accade in casa Trump, è stato indicato come Cambridge Analytica abbia avuto rapporti molto intensi con alcuni collaboratori di Donald Trump durante la campagna elettorale USA 2016.

Chi è Cambridge Analytica

Perno di tutta la vicenda è Cambridge Analytica, una società di consulenza e marketing nata nel 2013 per opera di Robert Mercer, un noto imprenditore USA, ritenuto di idee e orientamento vicino ai repubblicani., oltre che finanziatore di Breitbart News, sito di informazione ultra conservatore diretto da Steve Bannon, che a sua volta è stato consigliere e strategia di Trump durante la campagna elettorale e l’insediamento alla Casa Bianca.

Cosa fa Cambridge Analytica

Il core business di Cambridge Analytica è quello di raccogliere dati sui social network, elaborarli attraverso i propri modelli per poter creare dei profili utente, da sfruttare poi per le finalità dei propri clienti.

In altri termini, la società acquisisce una gran mole di dati su abitudini e consumi delle persone, sulle loro propensioni e i loro comportamenti, sfruttando tali informazioni all’interno del proprio sistema di microtargeting comportamentale, ovvero proporre delle forme di pubblicità ultra personalizzate per ogni singolo utente.

In questo modo Cambridge Analytica (per sua stessa ammissione) riesce a far leva su gusti, emozioni e orientamenti degli utenti, prevedendo e anticipando le risposte degli individui. Per intenderci, Michal Kosinski, che è lo sviluppatore dell’algoritmo su cui opera Cambridge Analytica, ritiene che sia sufficiente valutare 150 “Mi piace” di un utente su Facebook per poterlo conoscere meglio dei genitori, e 300 per poterlo conoscere meglio del partner.

Quali sono i rapporti tra Facebook e Cambridge Analytica

Ma per quale motivo Facebook è finita nell’occhio del ciclone?

In realtà la vicenda è un po’ più complessa di quanto viene generalmente riassunta, e per poter comprendere quali sono i filoni dell’intera storia conviene partire da quattro anni fa, e dall’Università di Cambridge, al cui interno il ricercatore Aleksandr Kogan ebbe modo di sviluppare un’applicazione che prometteva di produrre profili psicologici e di previsione del proprio comportamento, basandosi sulle attività online svolte.

L’uso dell’applicazione era molto semplice: gli utenti dovevano collegarsi usando Facebook Login, il sistema che permette di registrarsi a un sito senza creare user e password per l’occasione, ma semplicemente usando quelli del social network. L’intero servizio è gratuito ma… solo in via diretta: la ricompensa è infatti piuttosto prelibata, visto e considerato che l’applicazione le informazioni contenute sul profilo Facebook.

Dopo il lancio, l’applicazione di Kogan ebbe modo di raccogliere oltre 250 mila utenze. Tutto avveniva – peraltro – alla luce del sole, visto e considerato che gli utenti accettavano di condividere le informazioni (solo che, all’epoca, veniva consentito di raccogliere non solamente i dati dell’utente, quanto anche alcune informazioni sulla rete degli amici della persona iscritta; solo in un secondo momento Facebook decise che la pratica era troppo invasiva e cambiò i suoi sistemi rendendo impossibile la condivisione delle informazioni sulle reti di amici).

Ora, l’applicazione di Kogan fece in tempo a raccogliere i dati di più di 250 mila persone e della rete dei loro amici, arrivando – sostiene il New York Times – a reperire informazioni di varia natura su oltre 50 milioni (milioni!) di profili Facebook. Il database di Kogan era evidentemente molto prezioso: conteneva una enormità di dati sui luoghi di residenza, interessi, aggiornamenti di stato, fotografie, check-in e tanto altro ancora.

Da qui al “cuore” del problema il passo è breve. Kogan infatti iniziò a condividere le informazioni con Cambridge Analytica, andando a violare i termini d’uso di Facebook, che vietava (e vieta) ai proprietari di app di condividere con società terze i dati raccolti sugli utenti. Per poter scoraggiare queste cattive abitudini, Facebook prevedeva sanzioni di varia natura, come la sospensione dell’account e, dunque, la sostanziale “fine” di questo modello di business, che si basa proprio sull’accesso ai dati.

Comprendere perché Zuckerberg sia finito nell’occhio del ciclone è ora semplice. Facebook infatti avrebbe agito solo tardivamente, nonostante Christopher Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica, afferma che il social network fosse al corrente del problema da più di due anni. Ad aggravare la posizione di Facebook c’è anche il fatto che (sostengono i legali) la stessa Cambridge Analytica si autodenunciò al fine di evitare le sanzioni, evidenziando di essere entrata in possesso di dati ottenuti in violazione dei termini d’uso, e averne disposto la distruzione.

Un’ulteriore elemento di sospetto nella conduzione della vicenda da parte del social media è che Facebook avrebbe sospeso Cambridge Analytica solo il 16 marzo 2018, ovvero poco prima di aver saputo della imminente pubblicazione dei dossier del caso da parte di New York Times e Guardian.

Un problema di buco informatico?

Purtroppo, la già complessa storia non è finita qui, perché i giornalisti del Guardian, cui va riconosciuta la paternità dell’inchiesta oltre al New York Times, sostengono di avere ricevuto pressioni da Facebook, anche al fine di non parlare di “problemainformatico, di buco, di falla & co. Perché, in fondo, forse era proprio questo il termine più appropriato per poter parlare del meccanismo che ha permesso a Kogan (e quindi in seconda battuta a Cambridge Analytica) di ottenere i dati.

È anche vero che, tecnicamente, non ci sono bug. Kogan ha ottenuto quei dati semplicemente sfruttando il sistema che Facebook all’epoca permetteva e ammetteva come lecito. Semmai, ad essere suscettibili di una cattiva valutazione (e difficilmente smentibile) è il fatto che all’epoca Facebook permettesse di ottenere tutti quei dati, comprese le reti di amici, in modo così semplice.

Come sono state influenzate le elezioni

Per poter completare questo già intricato mosaico mancano tuttavia alcuni punti. Finora abbiamo infatti visto che Cambridge Analytica ha raccolto dati personali per poter determinare profili psicologici da usare in campagne di marketing, e abbiamo altresì visto che Facebook avrebbe sospeso tardivamente l’account della società, “rea” di aver usato dati raccolti che in realtà non le appartenevano.

Ma perché si parla con insistenza del fatto che quanto è accaduto ha finito con l’influenzare le elezioni presidenziali 2016, la Brexit, e non solo?

Anche se molto rimane da chiarire, qualche tratto di demarcazione è già stato individuato. Scoprendo, ad esempio, che nel 2016 il comitato di Donald Trump affidò proprio a Cambridge Analytica la gestione della raccolta dati per la propria campagna elettorale, e che Steve Bannon (che all’epoca era manager della campagna elettorale e responsabile di Breitbart News) sostenne l’utilità di avviare una collaborazione la società, di cui peraltro era stato vicepresidente.

Ora, quello che non è noto (o, meglio, non lo è ancora) è in che modo Cambridge Analytica abbia lavorato all’interno della campagna pro-Trump. Il sospetto di molti analisti è però che Cambridge Analytica sia stata la leva di discusse attività condotte nei mesi più caldi della campagna, arricchite dall’uso di bot di diffusione di post, notizie false e altri contenuti contro Hillary Clinton, da modulare a seconda dell’andamento della stessa campagna.

A rendere ancora più grave la posizione di Cambridge Analytica è il fatto che ad essere consigliere della società fu Robert Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, che sta ora collaborando con la giustizia statunitense, e che potrebbe essere la figura chiave per poter svelare i rapporti con la Russia e le attività di presunta interferenza con le elezioni.

Ancora, si noti come non è la prima volta che il Guardian mette nel mirino Cambridge Analytica. Già lo scorso anno il giornale ipotizzò il suo ruolo nella campagna referendaria per Brexit, evidenziando come avesse collaborato alla raccolta di dati e informazioni da utilizzare per condizionare gli utenti e fare propaganda per l’uscita dall’UE da parte del Regno Unito. Il Guardian arrivò addirittura a ipotizzare (cosa per la quale subì azione legale da parte di Cambridge Analytica) che il comitato del Leave avesse ricevuto “strani” passaggi di denaro.

E ora che succederà?

A questo punto non rimane che attendere i chiarimenti su una vicenda che – come abbiamo cercato di riassumere nelle scorse righe – è invero piuttosto intricata e complessa. I risvolti sono potenzialmente clamorosi e di gravità storica, arrivando a ipotizzare che i dati raccolti da Facebook e utilizzati in violazione dei termini di regolamento, siano stati in grado di decidere le elezioni statunitensi, la Brexit e, magari, altre decisioni di portata globale.

A finire nel mirino, come intuibile, è stato Mark Zuckerberg, e la posizione di Facebook in un contesto che avrebbe dovuto vedere il social media con un ruolo di maggiore “garanzia” nel trattamento dei dati. E on è un caso che, a breve distanza dalla pubblicazione degli articoli, Zuckerberg sia intervenuto con un lungo post sul proprio profilo.

Nel contenuto del messaggio, Zuckerberg ha riproposto i passaggi della vicenda dal proprio punto di vista, accusando Cambridge Analytica e Kogan, parlando di “tradimento” esercitato dallo sviluppatore. Il fondatore di Facebook ha poi affermato di aver avviato indagini su tutte le applicazioni che sfruttano i sistemi Facebook, quando le condizioni d’uso consentivano di raccogliere un numero maggiore di dati sugli utenti, che le utilizzavano, e sulle loro reti di amici. La pratica – ricordiamo – non è più consentita, ma evidentemente in passato ha prodotto sufficienti scambi di dati e di informazioni da poter ancora oggi essere potenzialmente utilizzabili.

Zuckerberg ha quindi promesso sanzioni (“Se troveremo sviluppatori che hanno usato nel modo scorretto informazioni personali identificabili, li bandiremo e avviseremo tutte le persone interessate”) ed ha annunciato che d’ora in poi l’accesso ai dati da parte degli sviluppatori sarà disciplinato in maniera più severa per evitare qualsiasi altro abuso. Tra le misure anticipate, la disattivazione dell’accesso ai dati per le app non utilizzate negli ultimi tre mesi, e la possibilità che si accedano a poche informazioni rispetto a quanto era in uso fino a poco fa (ovvero, solo nome, foto del profilo e indirizzo email; per gli altri dati bisognerà sviluppare un accordo scritto con gli sviluppatori). Ulteriormente, Zuckerberg ha anticipato che in cima alla sezione Notizie (Newsfeed) sarà mostrato un elenco delle applicazioni cui ci si è iscritti nel corso del tempo, consentendo in modo più facile e trasparente se revocare o meno l’accesso.

Infine, Zuckerberg si è assunto le responsabilità per quanto accaduto:

Ho fatto partire io Facebook, e sono quindi responsabile per ciò che accade su questa piattaforma. Sono seriamente intenzionato a fare il necessario per proteggere la nostra comunità. Anche se un caso specifico come quello di Cambridge Analytica non dovrebbe più succedere con le app di oggi, questo non cambia ciò che è accaduto nel passato. Da questa esperienza potremo imparare a rendere più sicura la nostra piattaforma e a rendere più sicura la nostra comunità.

Desidero ringraziare tutti coloro che continuano a credere nella nostra missione e nel nostro lavoro per costruire insieme una comunità. So che sistemare queste cose richiede più tempo di quanto vorremmo, ma vi prometto che lavoreremo per rendere un servizio migliore a tutti.

Ma sarà sufficiente questa ammissione di responsabilità? Probabilmente no. Non lo sarà agli occhi delle autorità politiche, che dagli USA all’Europa stanno chiedendo a Zuckerberg un confronto, e non lo sarà agli occhi degli stakeholders, che hanno già visto le quotazioni del titolo precipitare dai 185 dollari (circa) del 19 marzo, ai 162 dollari del 21 marzo, salvo poi recuperare parzialmente terreno mentre stiamo scrivendo questo aggiornamento.

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Sull'autore

Roberto Rossi

Roberto Rossi è un professionista con una consolidata carriera nel settore dell'informatica e dei mercati finanziari, distintosi per la sua profonda passione e competenza in entrambi i campi. Laureato in Informatica, Rossi ha iniziato la sua carriera tecnologica con un forte impegno nell'innovazione e nello sviluppo software, contribuendo significativamente a progetti di rilievo nel settore tecnologico.

La sua curiosità intellettuale e la predisposizione alla continua evoluzione professionale lo hanno spinto, circa vent'anni fa, a esplorare con fervore il mondo dei mercati finanziari. Questo nuovo percorso ha segnato l'inizio di una proficua fase della sua carriera, durante la quale Rossi ha approfondito le dinamiche dei mercati globali, specializzandosi in strategie d'investimento e analisi finanziaria. La sua abilità nell'interpretare i dati di mercato e prevedere le tendenze economiche gli ha permesso di ottenere risultati notevoli come investitore e consulente finanziario.

Circa dieci anni fa, Rossi ha ampliato ulteriormente i suoi orizzonti professionali dedicandosi allo studio e all'investimento in Bitcoin e altre criptovalute, anticipando la rivoluzione digitale nel settore finanziario. La sua capacità di integrare le competenze informatiche con la conoscenza finanziaria gli ha conferito una posizione di rilievo nell'ambito della blockchain e delle criptovalute, rendendolo una figura di spicco in questo settore emergente.

Dopo una vita di successi e riconoscimenti professionali, Rossi è ora guidato dal desiderio di condividere il suo vasto sapere. Con l'intento di formare le nuove generazioni, si dedica attivamente all'insegnamento e alla divulgazione, attraverso la partecipazione a conferenze, la pubblicazione di articoli e la collaborazione con istituzioni accademiche. La sua missione è quella di trasmettere non solo conoscenze tecniche, ma anche una filosofia d'investimento basata sull'analisi critica, sulla responsabilità etica e sull'innovazione.

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