L’apertura di settimana sul Forex sembra essere caratterizzata da un mix di due principali elementi: da una parte il calo dei rendimenti dei Treasury bond, che ha messo sotto pressione il dollaro statunitense; dall’altra parte le difficoltà dell’euro, messo sotto pressione dai timori legati alla lunga stagione delle elezioni, che inizierà con quelle olandesi ma avrà il suo clou con le presidenziali francesi, le cui previsioni sono piuttosto intricate e aleatorie.
Presto la parola alle banche centrali
In maniera più dettagliata, dopo un’iniziale volatilità sul dollaro, legata ai timori degli investitori circa le politiche economiche del neo Presidente statunitense, le ultime parole della Yellen al Congresso americano e i dati macro confortanti, hanno rafforzato la posizione della Federal Reserve nel suo percorso di rialzo dei tassi nel 2017. Yellen ha infatti affermato che sarebbe sbagliato rimanere “dietro la curva”, e che pertanto se la situazione economica statunitense sarà destinata a rimanere così confortante, il FOMC dovrebbe muoversi in maniera decisa verso un incremento dei tassi di riferimento, fin dalla prossima riunione.
Anche se i contenuti dei messaggi della Yellen non sono rivoluzionari, né totalmente nuovi, il mercato ha tuttavia digerito in maniera ottimale il contenuto così veicolato, ritenendo che vi siano effettive possibilità per un incremento dei tassi già a marzo e, di conseguenza, spingendo al rialzo la valuta verde. In realtà, a nostro giudizio difficilmente il FOMC toccherà i tassi fino a quando non avrà ben chiara la situazione della politica fiscale di Donald Trump, che a sua volta dovrebbe divenire realtà solamente nel corso del mese di marzo (in quanto ad annunci) e di luglio (in quanto alla presentazione del pacchetto di riforme tributarie) e ancora di settembre (per l’approvazione). Insomma, tempi non certo rapidissimi ma, comunque, sarà importante chiarire le mire del presidente USA il prima possibile.
Passando da questa parte dell’Atlantico, la BCE ha rassicurato ancora una volta i mercati finanziari sul proprio impegno costantemente espansivo, nonostante l’accelerazione dell’inflazione in Europa: alcuni membri del comitato di politica monetaria hanno comunque raffreddato gli entusiasmi sull’andamento dell’inflazione, affermando – come peraltro anticipato da Draghi – che la BCE si riterrà soddisfatta solamente se l’inflazione punterà al 2% in maniera consolidata, e se il livello verrà conservato anche senza i supporti dell’attuale politica super accomodante. In tale ambito, il cambio euro / dollaro rimane piuttosto sostenuto, oscillando nel range 1,05 – 1,06, nonostante le attese di dollaro forte e valuta unica debole.
Per quanto concerne la sterlina, le buone stime di crescita espresse dalla Bank of England per il prossimo triennio e l’inizio del processo di Brexit tutto sommato abbastanza confortante, sembrano rasserenare il quadro intorno alla valuta britannica: un quadro che dovrebbe divenire ancora più confortante nell’ipotesi in cui dovessero essere formulate anticipazioni di accordi favorevoli con l’Unione Europea, e nell’ipotesi in cui l’economia britannica sia in grado di proseguire nel suo recupero.
Petrolio in consolidamento nonostante lo shale-oil
Trasferendoci dal comparto delle valute a quello delle materie prime, rileviamo come l’apertura di settimana non abbia avuto grandi movimenti, anche a causa della chiusura di Wall Street. In maniera più dettagliata, le quotazioni petrolifere sono in una fase di consolidamento, nonostante qualche malumore generato dalla nuova crescita delle trivelle attive negli Stati Uniti (597 contro le 591 della scorsa ottava) che certifica il prepotente ritorno dello shale-oil americano.
Ad ogni modo, riteniamo che il ritorno dello shale-oil sia tutt’altro che inatteso e, anzi, fosse stato preventivato da ben più di qualche analista in virtù della crescita delle quotazioni del greggio, che hanno aperto margini di maggiore convenienza sulle trivelle a stelle e strisce. Riteniamo altresì che l’avvento dell’incremento delle attività delle trivelle non sia il principale mover del comparto: tra l’aumento del numero di trivelle operative negli Stati Uniti e il rispetto dei tagli alla produzione frutto dell’accordo in seno all’OPEC e dell’intesa tra OPEC e non OPEC (Russia in primis), a prevalere – in termini di importanza – dovrebbe essere il secondo elemento, sul quale per il momento esprimiamo una tiepida soddisfazione.
Insomma, come sottolineato altresì da alcuni autorevoli analisti negli scorsi giorni, riteniamo che anche nei prossimi giorni permarrà un quadro di ottimismo sul petrolio, giustificato dal fatto i tagli concordati tra produttori del Cartello ed esterni al Cartello, per la prima metà del 2017, risultano evasi al 90 per cento. In tal senso i tagli all’output potrebbero essere estesi supportando il greggio, e accelerando così lo smaltimento del surplus di offerta, raggiungendo quanto prima una condizione di equilibrio.