Pubblicato: 2 Marzo 2017 di Roberto Rossi
Il dollaro sarà il vero protagonista di questa parte finale di 2016, e non solo sui mercati valutari. Grazie a uno scenario macro piuttosto ricco, alle elezioni presidenziali che distano poco più di un mese, alle due riunioni Fed (una delle quali dovrebbe portare in dote l’incremento dei tassi di riferimento), gli stakeholders non avranno certamente modo di annoiarsi. Ma cosa dobbiamo attenderci dalla valuta verde nei prossimi mesi? Cerchiamo di compiere una buona previsione, con qualche “scommessa” che vogliamo condividere con tutti voi.
Dati macro: tutto bene (o quasi) all’orizzonte
Cominciamo da uno sguardo ai dati macro. Dopo un primo semestre di crescita (pur debole), l’economia statunitense dovrebbe conoscere una progressiva riaccelerazione nella seconda metà del 2016 con ritmi di espansione in linea con il potenziale ma comunque al di sotto dei picchi di cicli precedenti. I dati macro più recenti confermano prospettive solide per i consumi e per le costruzioni ma comunque manifestano dei segnali piuttosto deboli dal lato dell’offerta in termini di investimenti non residenziali, scorte e produzione. Maggiormente nel dettaglio, la domanda delle famiglie può oggi contare su livelli di fiducia elevati e una dinamica solida per il reddito grazie a condizioni finanziarie accomodanti, incremento del potere d’acquisto legato al livello storicamente basso dei prezzi dei carburanti e costanti progressi del mercato del lavoro.
In linea di massima, il quadro è abbastanza confortante. Il mercato del lavoro, che da tempo era considerato come uno dei pilastri fondamentali per poter orientare la politica monetaria della Fed, non solo mostra un tasso di disoccupazione che si trova già al di sotto del target di sostanziale piena occupazione, bensì registra finalmente anche segnali positivi sul fronte del salari e su quello della partecipazione alla forza lavoro. Per quanto attiene i consumi, la domanda interna dovrebbe spingere le vendite con una percentuale vicino al 3 per cento nel secondo semestre e tra il 2,5 per cento e il 3 per cento nel 2017.
Politica monetaria: si avvicina il rialzo dei tassi
Con il mercato del lavoro oramai in condizioni di piena occupazione, e con un tasso di inflazione che continua nel lento trend di avvicinamento al target, tutto sembra pronto per poter dar seguito a una strada di convinta normalizzazione della politica monetaria. Nonostante ciò, l’ultima riunione del FOMC di settembre si è chiusa ancora una volta lasciando i tassi di riferimento invariati, evidenziando altresì l’esistenza di un acceso dibattito interno al Consiglio dove non tutti, tra i votanti e i non votanti, sembrano essere stati convinti di lasciare i tassi fermi. A far spostare la bilancia dall’una o dall’altra parte sono state le perplessità sullo scenario di medio e lungo termine: l’aggiornamento dello scenario macro taglia infatti le stime di crescita potenziale e di lungo periodo (dal 2 per cento all’1,8 per cento) e giustifica l’atteggiamento particolarmente cauto della Banca centrale. Il comunicato specifica infatti che, nonostante “il caso per un rialzo dei tassi si sia rafforzato”, la decisione di lasciare comunque i Fed Funds invariati nasce dalla volontà di “aspettare un ulteriore progresso verso gli obiettivi”, in una votazione che è risultata combattuta (tre sono stati i dissenti). Tra le novità di settembre, già ricordate nel nostro precedente approfondimento, non solo vi è la reintroduzione della valutazione dei rischi di breve termine – da tempo sospesa – bensì anche l’aggiornamento del grafico a punti che estende l’orizzonte al 2019 e delinea un sentiero di rialzi più graduale.
In sintesi, tutto sembra pronto per un rialzo dei tassi, ma riteniamo che la Fed punterà a farlo nella riunione di dicembre, evitando quella di novembre, troppo vicina alle elezioni. Riguardo alle prospettive per il 2017, riteniamo ragionevole una pausa nella prima metà dell’anno per il prossimo rialzo.
Cosa succederà al dollaro?
Il cambio euro/dollaro appare da diverso tempo in una fase di interessante consolidamento, peraltro comprovata dal range limitato di riferimento successivo alle decisioni della Banca centrale. Lo scenario per la divisa unica rimane dunque improntato all’attesa per le azioni della BCE; il mercato si attende scelte che possano favorire una svalutazione della moneta anche se il quadro in essere non agevola il movimento ribassista dell’euro. Di contro, la Federal Reserve opta per una politica evidentemente divergente, spingendo al ribasso il dollaro e rimandando le proprie scelte. L’Istituto centrale USA, nell’ultimo meeting, ha fatto intendere che vi sarà un primo incremento dei tassi entro fine anno, seguito da un periodo di pausa e, quindi, dalla ripresa del percorso dei rialzi dopo metà 2017. A ciò si aggiunga anche il timore desumibile dall’avvento delle elezioni presidenziali di novembre, che dovrebbe ispirare una ancora maggiore fiducia alle mosse della Federal Reserve.
A nostro giudizio, da quanto sopra si potrebbe trarre una lezione di sintesi: nel breve periodo il cambio EUR/USD dovrebbe aggirarsi intorno a quota 1,10, per poi scendere sotto quota 1,08 in procinto del rialzo tassi Fed e poi risalire gradualmente, il prossimo anno, verso 1,12 – 1,15.