Pubblicato: 23 Settembre 2016 di Roberto Rossi
Come largamente anticipato, la Federal Reserve ha scelto di mantenere invariati i tassi di interesse allo 0,25-0,50%, in linea con le attese di mercato e con quanto avevamo avuto modo di auspicare qualche giorno fa. Ad ogni modo, il comunicato con il quale la Fed ha chiuso il meeting del proprio Comunicato lascia emergere diversi elementi di una buona valutazione per il prossimo futuro. Cerchiamo di riassumerli, e di comprendere che cosa avverrà nei prossimi tre mesi, e quali sono state le prime reazioni dei mercati valutari.
Rinvio dei tassi… fino a dicembre
Cominciamo con il ricordare che il comunicato, di fatto, anticipa in maniera piuttosto chiara la possibilità che vi sia un rialzo dei tassi di riferimento entro la fine dell’anno, lasciando per il momento i Fed funds invariati, in attesa di ulteriori conferme dai dati macro. Insomma, dopo aver speso una buona parte dell’estate a fornire decisi segnali di un possibile rialzo già nella riunione di settembre, la Fed ha poi scelto di aspettare ancora, ammettendo però che “le condizioni per un rialzo dei tassi si sono rafforzate”, pur decidendo, almeno per il momento, “di aspettare ulteriori prove del progresso continuo verso i suoi obiettivi”, ovvero il raggiungimento della piena occupazione e della stabilità dei prezzi. La presidente della Fed, Janet Yellen, ha ribadito questa posizione anche nella conferenza stampa successiva all’annuncio, spiegando che si aspetta un rialzo quest’anno, a patto che l’economia si mantenga sulla rotta attuale.
Tuttavia, rispetto alle precedenti occasioni, il FOMC di settembre ha rappresentato un sicuro passo in avanti nei confronti del rialzo dei tassi di interesse di riferimento. Contro quanto avveniva nelle passate edizioni, infatti, il comunicato contribuisce ad arricchire la valutazione del quadro reintroducendo il mancante giudizio sui rischi, con un contesto giudicato “quasi in equilibrio”. Altro aspetto da approfondire (soprattutto con l’uscita dei verbali, tra una ventina di giorni), è relativo alla dispersione di opinioni. La decisone di lasciare i tassi invariati è infatti stata assunta con la non certo irrilevante presenza di 3 voti contrari tra coloro che hanno espresso aperto dissenso nei confronti della maggioranza puntando per un rialzo immediato (dai verbali bisognerà comprendere quanti, tra i non votanti, erano di identica opinione).
Nelle prossime settimane, è possibile che la schiera di coloro che ritiene opportuno incrementare i tassi di riferimento possa ampliarsi, e che – se i dati macro USA non deluderanno – si possa arrivare a una presa di posizione maggioritaria già per il FOMC di inizio novembre. Qui il Comitato dovrà assumere una decisione “politica”: incrementare i tassi di riferimento già in questa occasione, oppure attendere il mese di dicembre, evitando pertanto la sovrapposizione tra incremento dei tassi nella prima decade di novembre, e risultati delle elezioni presidenziali negli stessi giorni. Dunque, riteniamo più probabile un ritocco dei tassi nell’ultima occasione dell’anno, a meno che i dati macro in pubblicazione ad ottobre non siano straordinariamente positivi.
Un aggiornamento del quadro economico
Se sulle scelte immediate di policy, e in particolar modo di tassi, il dibattito appare acceso, vi è certamente una maggiore convergenza per quanto concerne il sentiero macro e dei tassi. Nell’aggiornamento delle previsioni macroeconomiche, infatti, la Federal Reserve ha provveduto a limare le stime di crescita di lungo periodo, scese all’1,8% dal 2% di giugno, prevedendo altresì di conseguenza un sentiero di rialzo dei tassi sui Fed Funds ancora più piatto rispetto a giugno. Stando alle opinioni finora prevalenti in seno al FOMC, dopo la stretta di fine anno (che sarà l’unica del 2016, contro le 4 previste), i rialzi saranno due l’anno prossimo e tre ciascuno nel 2018 e 2019. Il livello di equilibrio di lungo termine per il target fate passa così al 2,9% dal 3% precedentemente indicato.
Come hanno reagito i mercati valutari
Nella seduta successiva all’annuncio da parte della Fed, il dollaro ha prima perso, poi recuperato qualche posizione, avviandosi comunque a chiudere l’ottava in deprezzamento su euro e yen dopo il nulla di fatto della Fed. I movimenti sono comunque piuttosto limitati, come prevedevamo: se è vero che la Fed ha lasciato invariato il costo del denaro, è anche vero che è stata più chiara che mai circa la possibilità di provvedere a un rialzo a dicembre.