La Federal Reserve non smentisce i mercati e alza i tassi di riferimento di 25 punti base, conducendoli allo 0,75-1%. Ad annunciarlo è il FOMC, il braccio di politica monetaria dell’istituto banchiere statunitense, al termine della riunione iniziata ieri e terminata oggi con la prima stretta monetaria del 2017, la seconda degli ultimi tre mesi, e la terza dal giugno 2006 ad oggi. Come le altre, anche in questo caso il rialzo è stato di un quarto di punto percentuale.
Costo del denaro come nel 2008
Con la scelta di ieri, il FOMC riporta i tassi al livello dell’ottobre del 2008, quando il costo del denaro era pari all’1%. Solo due mesi dopo, però, in seguito alla grave crisi finanziaria, il tasso fu condotto al minimo storico (tra lo 0% e lo 0,25%). Ora, la tendenza sembra essersi finalmente invertita, con la Federal Reserve che conferma la sua intenzione di avviare un percorso di normalizzazione che ha i suoi principali tasselli nella mossa di dicembre e in quella di ieri.
Naturalmente, il percorso non è affatto finito qui, ma è solamente all’inizio. Gli aumenti dei tassi di interesse di riferimento continueranno e saranno graduali: stando alle attese dei membri del Comitato, è possibile (probabile?) che da qui alla fine del 2017 possano esservi altri due rialzi, per un totale di tre ritocchi nel corso dell’anno. Successivamente, altri tre rialzi sono attesi per il 2018, e altri tre anche per il 2019.
Se quanto sopra dovesse trovare conferma, si tratterebbe di un netto cambio di marcia rispetto al 2016, quando la Fed alzò i tassi di interesse di riferimento una sola volta (e lo stesso fece nel 2015).
Condizioni economiche “rassicuranti”
Nelle sue dichiarazioni di fine Comitato, la Fed ha ricordato che le condizioni economiche dovrebbero evolversi in maniera tale da richiedere degli incrementi graduali dei tassi di riferimento che, probabilmente, per qualche tempo rimarranno al di sotto dei livelli che ci si attende prevalgano nel lungo termine.
Peraltro, nella nota diffusa al termine del FOMC, si apprende come l’attività economica abbia continuato a espandersi a ritmo moderato, e che il mercato del lavoro ha proseguito nel suo rafforzamento, con la creazione di nuovi posti di lavoro. La spesa delle famiglie americane è invece cresciuta moderatamente, mentre gli investimenti fissi aziendali si sono rafforzati. Insomma, un quadro sicuramente rassicurante che, salvo eventuali shock, fa ben sperare per un ulteriore miglioramento nel secondo trimestre dell’anno.
Previsioni sull’inflazione
Nel documento c’è poi stato spazio anche per una revisione dei principali dati macro. In particolar modo, si legge come l’inflazione nel 2017 sia attesa assestarsi intorno all’1,9%, come anticipato peraltro a dicembre. La componente “core” (che viene sterilizzata dalle componenti più variabili, come gli alimentari e l’energia) viene stimata proprio all’1,9%, in rialzo dall’1,8% precedentemente previsto. Nel 2018 si prevede invece una crescita del tasso d’inflazione al 2,1% (ex 2%) e del tasso di inflazione “core” al 2% (ex 2%).
Per quanto infine riguarda gli altri dati di principale riferimento, il tasso di disoccupazione dovrebbe scendere ancora, al 4,5%, per un livello già anticipato a dicembre. Per il 2019, la Banca centrale americana stima un incremento del Pil dell’1,9%, come stimato a dicembre, un tasso di disoccupazione al 4,5% (come da stima precedente) e un’inflazione “core” al 2% (anch’essa in linea con la stima precedente).
Alla luce di quanto sopra, e in attesa di elaborare con maggiore calma le novità di ieri, ci sembra pertanto che tutte le stime siano state rispettate e che, a questo punto, bisognerà solo attendere la reazione dei mercati (immaginiamo, discretamente positiva).
Sul fronte valutario, attenzione a non assumere con eccessivo malumore un possibile deprezzamento dell’euro: è probabile che la valuta unica europea possa essere messa sotto pressione, ma riteniamo comunque che possa trattarsi di un movimento temporaneo, che verrà presto sostituito dalla possibilità che l’euro recuperi posizioni, andando a macinare posizioni perse negli ultimi anni, pur gradualmente e senza privarsi di parentesi anche vistosamente negative.
Vedremo dunque nei prossimi giorni come si svilupperanno le reazioni auspicate, e quali saranno i comportamenti delle principali forze di mercato alla luce di quanto avvenuto all’interno del Comitato di politica monetaria della Fed.