Il dollaro statunitense continua a consolidare i guadagni ottenuti negli scorsi giorni, e si appresta a concludere l’attuale settimana con una prestazione di sicuro rialzo. L’unico ostacolo per una chiusura con il segno positivo potrebbe essere data dalla pubblicazione di dati sorprendentemente negativi, come quelli (domani) su vendite al dettaglio, su inflazione e su fiducia delle famiglie. Di contro, sembrano piuttosto solidi i supporti al biglietto verde che continuano ad arrivare dai differenziali di rendimento, in vista di un altro rialzo dei tassi fed funds, sempre più probabile già alla prossima riunione del 14 giugno.
Tre rialzi (forse) non bastano
In tal senso, è di sostegno rilevare come proprio nella giornata di ieri dalla Fed siano arrivate posizioni piuttosto “aggressive” sulla policy dei tassi, con Rosengren che ha affermato di essere personalmente favorevole ad altri tre rialzi quest’anno, e dunque un totale di quattro, e pertanto uno in più rispetto alla previsione centrale della Federal Reserve. Rosengren ha giustificato tale valutazione affermando che a proprio modo di vedere bisogna evitare un surriscaldamento dell’economia, e ha poi aggiunto che se venisse attuata una politica fiscale molto espansiva la Federal Reserve si troverebbe nella condizione di dover stringere la politica monetaria più rapidamente di quanto stia facendo ora. Infine, Rosengren ha anche specificato che bisognerebbe prendere in considerazione l’opportunità di iniziare a ridurre il bilancio dopo il prossimo rialzo dei tassi.
Draghi difende la propria policy
Da questa parte di Atlantico, invece, l’euro è rimasto in calo, ma non è certamente precipitato nei confronti del dollaro USA. È anche vero che l’intervento di Draghi ha smentito qualche analista che pensava che le dichiarazioni del numero 1 dell’Eurotower potessero avere un maggiore impatto: le affermazioni di Mario Draghi non sono invece state in grado di fornire all’euro un nuovo slancio. Questo non significa però che le affermazioni del presidente della BCE siano state indifferenti: Draghi ha di fatti confermato la linea già espressa alla riunione del 27 aprile scorso, ribadendo che il quadro nell’area euro sta chiaramente migliorando (i rischi verso il basso per la crescita economica della zona stanno gradualmente venendo meno) e che se anche finora i salari non stanno rispondendo alla ripresa economica la BCE è fiduciosa di iniziare a vedere dei segnali di risalita a breve. Draghi ha inoltre ripetuto che non è ancora arrivato il momento per ragionare su un’exit strategy, ha spiegato che la forward guidance era stata designata per tenere conto dei rischi di coda (e che alcuni rischi di coda stanno diventando sempre meno probabili) e ha poi ripetuto in più occasioni che la policy adottata dalla BCE dal 2014 ha dato risultati molto utili, e comunque ben superiori ai costi necessari per poterla sostenere. Il fatto che tutto ciò sia avvenuto dinanzi al Parlamento olandese (che insieme a quello tedesco ha svolto il ruolo di maggiore oppositore alla presunta generosità della Banca) non è certo casuale.
Ad ogni modo, la prospettiva attuale che la BCE possa rimuovere la parte di guidance che contiene il riferimento a tassi più bassi già alla prossima riunione dell’8 giugno sta limitando lo spazio di discesa dell’euro, che dunque non sembra essere atteso da precipitose strade al ribasso. Per giunta, i dati macro che usciranno domani (il calendario prevede Pil tedesco e produzione industriale dell’area) sono attesi molto positivi, e dovrebbero dunque fornire un buon sostegno al cambio.
Si attende la riunione BoE
Nel quadro panoramico delle mosse delle principali Banche centrali, quella più formale è certamente quella londinese, visto e considerato che è oggi in programma la riunione della Bank of England (in attesa della quale la sterlina si è stabilizzata sia contro dollaro, sia contro euro). È molto probabile che la BoE possa lasciare i tassi fermi a 0,25 punti percentuali, con un buon consenso maggioritario.
Tuttavia, ad assorbire le maggiori attenzioni sarà oggi l’inflation report, che conterrà le nuove proiezioni di crescita e di inflazione. Dopo aver riscontrato un significativo rallentamento nel corso del primo trimestre, gli analisti si attendono che la BoE riveda al ribasso le proiezioni di crescita almeno su quest’anno. Attualmente, ricordiamo, la strada di sviluppo attesa dall’istituto monetario inglese è del 2,0 per cento nel 2017 e dell’1,6 per cento sia nel 2018 sia nel 2019. Il consenso prevede contemporaneamente una revisione al rialzo dell’inflazione, non probabile, in grado di indebolire la sterlina.
Ad ogni modo, c’è anche una parte di osservatori che è pronto a scommettere sul rafforzamento della valuta britannica. Se infatti la revisione sulla crescita sarà di scarsa entità, e inoltre limitata solo a quest’anno, il messaggio del report sarebbe quello di una crescita comunque abbastanza robusta pur in considerazione dei rischi di Brexit, e l’impatto sul cambio potrebbe essere limitato o, addirittura, benefico.
Vedremo dunque, tra le due diverse previsioni, quale sarà quella predominante…