Il mese di aprile sembra essere periodo potenzialmente piuttosto intenso sul fronte valutario. I timori di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, le turbolenze in alcuni mercati non marginali in America e in Europa, le oscillazioni valutative su diversi dati macro, l’attesa per le prossime decisioni di policy monetaria da parte delle banche centrali, sono solamente alcune dei principali elementi che potrebbero influenzare i corsi valutari.
Cerchiamo allora di fare il punto, e comprendere come si stanno presentando le principali valute in questa parte di primavera.
Indice
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Euro
Cominciamo dall’euro, con Draghi che rimane aperto a diverse soluzioni sul fronte della chiusura del quantitative easing, sulla crescita economica e sull’inflazione. Come da attese, nella riunione dello scorso 8 marzo scorso la Banca Centrale Europea ha lasciato invariati i livelli del corridoio dei tassi e i target del programma di acquisto titoli attualmente in essere.
Il numero 1 dell’Eurotower si è poi soffermato anche sulle decisioni statunitensi in termini di dazi, affermando che, dal punto di vista della politica monetaria, gli effetti avrebbero potuto essere trascurabili nel breve. D’altronde, almeno per il momento, è indubbio che le tensioni sino – americane siano soprattutto dialettiche, e che passeranno diversi mesi prima di poter toccare con mano la presenza di eventuali dazi tariffari su merci di importazione / esportazioni.
Tuttavia, già in quell’occasione Draghi aveva anticipato che in realtà le tensioni avrebbero potuto esercitare delle ripercussioni di seconda battuta sul cambio e, più in generale, sul clima di fiducia. Ed effettivamente, questo contesto si è puntualmente realizzato nel corso delle ultime settimane. Draghi ha poi specificato come il lavoro della Banca non sia certamente terminato, ed ha espresso prudenza sulla chiusura del programma di acquisto dei bond.
Guardando poi al prossimo futuro, e in particolar modo soffermandosi sul sentiero di crescita dell’Unione Europea, appare chiaro che rimangono diverse incertezze, a partire dalle prossime mosse di Trump e dai conseguenti impatti sul commercio internazionale. Le dichiarazioni di Draghi hanno per il momento frenato l’apprezzamento dell’euro, che si era rafforzato probabilmente in anticipo rispetto al cambio di passo restrittivo della BCE.
Dollaro USA
Passiamo quindi all’area USA, protagonista di questa parte dell’anno con l’incidenza dell’amministrazione Trump sulla finanza internazionale.
Nella riunione della Federal Reserve dello scorso 21 marzo, come da ampie attese da parte degli analisti, il board ha deliberato un aumento dei tassi di 25pb a 1,5-1,75%. Il rialzo, che appare essere in linea con le attese, è stato votato all’unanimità dei partecipanti.
Nessuna sorpresa rispetto alle attese anche sul fronte della valutazione dello scenario macro economico. Il rallentamento che abbiamo osservato all’inizio del 2019 è stato opportunamente valutato come temporaneo e, nel complesso, il quadro economico sembra essere confermato con quello di un rafforzamento della crescita, anche se l’incertezza potrebbe manifestarsi in misura più incisiva dopo le ultime uscite di Trump, con il rischio che il benefit dei tagli delle tasse possa essere controbilanciato dai guai relazionali internazionali.
Tornando alla Fed, dopo che l’istituto ha confermato a tre le strette sul costo del denaro nel 2019 (o, meglio, almeno tre, così come nel 2020), la reazione del dollaro nei confronti delle principali valute non è apparsa, fin da subito, eccessivamente positiva. La ragione è semplice: molti operatori si aspettavano infatti che l’Istituto centrale americano potesse mettere in conto quattro rialzi già nel 2019, e dunque questa visione prudenziale ha avuto l’effetto di spegnere facili entusiasmi.
Anche la scelta di un aumento in più dei tassi, da 2 a 3, posizionata nel 2019, non è stata sufficiente a convincere il mercato che il percorso di apprezzamento del dollaro potesse subire un’accelerazione. Infine, come già rammentato negli ultimi paragrafi, il dollaro sta scontando l’accentuarsi delle tensioni legate alla vertenza fra Stati Uniti e Cina sui dazi, in vista anche dell’annuncio di nuove tariffe sulle importazioni USA di prodotti cinesi.
Sterlina
Oltrepassiamo la Manica per arrivare a Londra. Qui la posizione della Bank of England è finalmente apparsa molto più chiara dopo l’ultimo meeting dell’istituto e nelle successive settimane: il rialzo dei tassi di 25 punti base appare molto probabile nella prossima riunione del 10 maggio, in concomitanza con la pubblicazione dell’Inflation Report.
La sterlina prosegue così nel proprio movimento di costante rafforzamento contro euro e dollaro, aiutata anche dal buon procedere delle trattative sulla Brexit, visto e considerato che Regno Unito e Unione Europea si sono accordati su un periodo di transizione che dovrebbe attutire il distacco dall’Europa. L’intesa prevede che Londra mantenga legami con l’UE fino a dicembre del 2020, anche se non avrà diritto di voto. Guai però a pensare che la strada verso la Brexit non possa presentare nuove turbolenze.
Yen
Concludiamo infine con lo yen giapponese. Ricordiamo come la Banca centrale del Giappone (BoJ) abbia lasciato invariata la politica monetaria nella riunione dello scorso 9 marzo, e che successivamente il governatore Kuroda abbia rassicurato i mercati sul fatto che l’istituto non desideri anticipare la propria fase di “normalizzazione” della politica monetaria, non avendo fretta di avviare la fase di riduzione dello stimolo monetario.
La posizione più debole del premier Abe dopo lo scandalo interno (ricordiamo che il presidente è fautore della politica di uno yen svalutato) e la conferma del governatore Kuroda, stanno alimentano l’apprezzamento dello yen, che peraltro potrebbe ottenere una buona spinta propulsiva dal ruolo di safe haven tipico della valuta, in un contesto di crescita dell’aleatorietà supportata dallo scenario di guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina, che ha ampliato l’avversione al rischio sui mercati.