Oppressione fiscale

Multinazionali e fisco: i casi di ‘facciamo pace’ più eclatanti

Il rapporto fra le grandi multinazionali estere e il fisco italiano è davvero speciale, perché da un po’ di anni a questa parte sembra essersi messo in moto un meccanismo alquanto atipico:

“Io, multinazionale, non pago le tasse per anni, poi quando tu, fisco italiano, finalmente mi becchi, patteggio con te una cifra che sarà di gran lunga minore a quella che realmente ti devo”.

Se si osservano i casi più eclatanti di patteggiamenti fra fisco italiano e grandi multinazionali estere la storia sembra essere una ruota che gira e che arriva sempre allo stesso punto. Ma vediamo due casi che dimostrano come questo meccanismo si è messo in moto e quali sono i suoi risvolti per le casse dello stato italiano.

Cominciamo dal più recente: il caso Google

I titoloni dei giornali hanno recentemente strillato “pace fatta fra stato italiano e Google, la multinazionale paga 306 milioni di euro”. Un titolo così eclatante può far pensare a un accordo snello e veloce, ma così non è, perché si tratta di una controversia che dura da 15 anni e che ha incluso un’inchiesta penale sulla presunta evasione fiscale a carico di 5 manager dell’azienda informatica.

Per capire il cuore della vicenda bisogna fare un salto indietro al febbraio dello scorso anno, quando il Pm Isidoro Palma aveva finalmente tirato le fila di un’inchiesta che interessava i debiti contratti nei confronti dell’erario da parte di Google tra il 2009 e il 2013. Si tratta di redditi imponibili per circa 227 milioni di euro.

È però importante considerare che le cifre contestate ai 5 manager dell’azienda erano diverse da quelle rilevate dalla Guardia di finanza e l’accordo che è stato raggiunto sotto il profilo tributario può ora mettere mano alla situazione penale, come è accaduto in passato con Apple, che ha visto pagare una multa e archiviare due capi di imputazione per i suoi manager.

L’intesa ha quindi aperto le strade alle dichiarazioni dei vertici, primo su tutti il ministro dell’economia Padoan che ha sottolineato a necessità di lavorare in direzione di un regime fiscale in materia di web tax che sia più chiaro e trasparente, Dello stesso avviso il direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi, che ha dichiarato come il patteggiamento di Google rappresenti un passo avanti fondamentale nella strategia di lungo periodo che l’Agenzia sta perseguendo in collaborazione con la Guardia di Finanza e con la Procura.

Ecco che l’ultimo caso potrebbe lasciare uno spiraglio di luce per il futuro. Google, dal canto suo, ha dichiarato di avere aderito ‘all’accertamento con adesione’ che interessa le mancate tasse pagate nel periodo compreso fra il 2002 e il 2015. La multinazionale pagherà quindi altri 306 milioni di euro, dove oltre 303 milioni sono attribuiti a Google Italy e il resto a Google Ireland.

La domanda sorge ora spontanea: ma le multinazionali non si aspettano di dover pagare le tasse quando prosperano in un altro paese diverso dal loro? Sembra proprio di no, perché nei casi Google e Apple tutto è partito da una serie di accertamenti della Guardia di Finanza, che ha indotto all’attivazione di un procedimento penale e amministrativo, quindi alla sua conclusione. Ma quanto tempo è passato? E nel frattempo le somme dovute non potevano essere impiegate dallo stato italiano per fare qualcosa di buono? Non parliamo, infatti, di poche centinaia di euro, ma di centinaia di milioni che, se ben amministrati, potrebbero avere generato ricchezza su ricchezza.

E propri qui è il punto, perché la ricchezza è stata trattenuta ed è andata ad arricchire le casse delle grandi multinazionali del web che, forti dell’assenza di un regime legislativo forte hanno aspettato di doversela vedere con la legge prima di pagare.

E ricordiamoci della vicenda Apple

La questione Google ricorda da vicino la vicenda Apple. Al tempo la filiale italiana dell’azienda di Cupertino decise di pagare all’erario italiano tasse per il valore di 318 milioni di euro a seguito dell’inchiesta per frode fiscale.

L’indagine, ancora una volta condotta dall’Agenzia delle Entrate, coordinata dal procuratore di Milano Francesco Greco, aveva accertato l’enorme gap fra le vendite reali di Apple in Italia e i ricavi apparenti, che ammontavano a ‘soli’ 30 milioni di euro.

Semplice quanto interessante il meccanismo adottato da Apple, definibile a doppio binario. In Italia ad operare era, apparentemente, Apple Italia s.r.l. una società di pura facciata fatta passare per una consulente della irlandese Apples sales international, sostituita nel 2012 da Apple Distribution International.

Apple Italia avrebbe dovuto svolgere sulla carta solo ed esclusivamente azioni di consulenza e i 30 milioni di euro erano i ricavi legati a questa tipologia di attività. Ma in realtà gli utili conseguiti in Italia erano di oltre 1 miliardo di euro, tutti finiti in Irlanda dove Apple pagava e paga tuttora pochissime tasse, grazie al regime facilitatore messo in atto dal governo.

La realtà era quindi molto diversa, perché gli operatori di Apple Italia potevano seguire il ciclo di vendite, organizzare le offerte, seguire i clienti e, soprattutto vendere. Negli anni a cavallo fra il 2008 – 2014, secondo l’Agenzia delle Entrate Apple ha realizzato un volume di vendite stimato in circa 9,6 miliardi di euro, con una conseguente una evasione stimata dagli uffici in 897 milioni di euro.

Questa la situazione che, in questo caso, si è risola con un patteggiamento del valore di meno della metà delle cifre che l’azienda di Cupertino avrebbe dovuto versare allo stato italiano, con strette di mano e con promesse di implementare il lavoro in Italia e di far nascere centri tecnologicamente attivi nel sud del paese.

Ma in realtà il guadagno occulto di Apple è stato davvero imponente, basti pensare ai denari risparmiati e anche agli interessi maturati sulle mancate tasse, che non sono certamente finiti nelle tasche del governo italiano ma in quelle di Apple. Ecco che la situazione generale chiede a gran voce un’azione legislativa forte, che non abbia paura di tassare le grandi multinazionali quando generano ricavi con i denari dei cittadini italiani e di tutti i contribuenti dell’Unione Europea.

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Sull'autore

sofiaricciardi

Sofia Ricciardi, nata nel 1964, è un'eccellenza nel mondo finanziario, con una carriera impreziosita da successi notevoli e da un impegno costante nella democratizzazione degli investimenti in borsa. Laureata in Economia presso l'Università Bocconi di Milano, ha iniziato la sua carriera nelle sale operative di prestigiose banche d'affari a Londra e New York, guadagnandosi ruoli di crescente importanza grazie alla sua specializzazione in strategie di investimento e gestione del rischio. Con oltre tre decenni di esperienza, Sofia ha dimostrato una notevole capacità di anticipare le dinamiche dei mercati finanziari, ottenendo risultati eccellenti sia per le banche che per i loro clienti.

Riconosciuta tra gli esperti per la sua profonda conoscenza del settore e per una strategica comprensione delle tendenze macroeconomiche, Sofia non ha mai perso la sua passione per l'educazione finanziaria. Convinta che il sapere finanziario sia un fondamentale strumento di emancipazione, ha dedicato parte significativa della sua carriera a rendere l'investimento in borsa accessibile a tutti. Ha promosso questa visione tramite workshop, conferenze e pubblicazioni, mirando a dotare persone di ogni background degli strumenti per realizzare i propri sogni economici.

Sofia ha inoltre fondato varie iniziative non profit per migliorare la literacy finanziaria nelle comunità meno avvantaggiate, guadagnandosi rispetto e ammirazione ben oltre il settore finanziario. La sua carriera testimonia come la dedizione alla giustizia sociale possa convivere con il successo nel mondo finanziario, rendendola un modello di come passione, etica del lavoro e impegno sociale possano tradursi in un impatto positivo sulla società.