Pubblicato: 9 Settembre 2016 di Roberto Rossi
Mancano poche ore alla riunione della Bce prevista per domani, e i mercati da diversi giorni stanno scontando le attese crescenti per quel che l’istituto di Mario Draghi avrà modo di formulare. Cosa accadrà? Cerchiamo di interpretare correttamente i lavori di preparazione a questo evento, e anticipare quelle che potrebbero essere le valutazioni dell’Eurotower.
Crescita economica
La prima considerazione che la Bce potrebbe effettuare, consiste nella revisione al ribasso dello scenario di crescita. A giugno lo staff aveva infatti previsto uno sviluppo dell’1,6% per il 2016 e dell’1,7% per il 2017 e per il 2018, mentre l’inflazione è stimata in incremento dell’1,3% per il 2017 e dell’1,6% per il 2018. Proporzioni che, però, difficillmente potranno essere confermate nell’imminente riunione.
Per comprendere per quali motivi la Bce non confermerà tali previsioni, bisogna cercare di capire cosa sia cambiato rispetto allo scenario pre-estivo. In tal proposito, nell’area euro, le indagini di fiducia presso le imprese IFO, Istat, e indice della Commissione UE hanno sorpreso verso il basso ad agosto e segnalato un rallentamento della domanda non solo dall’estero ma anche domestica, in particolare nel commercio al dettaglio. Complessivamente, i dati per il terzo trimestre sembrano suggerire una stabilizzazione della crescita del PIL intorno a 0,3% trimestre su trimestre, anche nella seconda metà di
quest’anno, e in ogni caso un decimo al di sotto delle previsioni Bce di giugno.
Tuttavia, la maggiore attenzione dovrà essere riposta alle previsioni 2017-2018, la cui stima dipenderà dalla valutazione dell’impatto sulla crescita delle misure di politica monetaria, non ancora avviate a giugno (TLTRO II e acquisti di tioli corporate), e della maggiore incertezza politica. È comunque possibile che la Bce possa ridurre le stime del biennio di qualche decimo di punto, con stabilizzazione della ripresa all’1,5%.
Inflazione
Altro punto chiave (invero, piuttosto annoso) è quello legato all‘inflazione. In tal proposito, è probabile che le stime di inflazione 2018 saranno tagliate dall’Eurotower di almeno un decimo di punto, dall’1,6% di giugno: la crescita più debole è solo in parte contrastata dal rincaro del prezzo del greggio.
I dati più recenti, relativi al mese di agosto, hanno mostrato un calo dell’inflazione sottostante di un decimo a 0,8% ed un rallentamento della dinamica dei prezzi al consumo nei servizi, i cui prezzi sono tipicamente più legati alla dinamica della domanda. A margine di tale valutazione, il punto di arrivo per l’inflazione core potrebbe, quindi, essere rivisto al ribasso dall’1,6% di marzo e giugno.
Politica monetaria
Nel caso in cui le nostre previsioni di cui sopra dovessero tramutarsi in realtà (ovvero, stime di crescita e inflazione per il 2017-18, al di sotto di quelle di marzo, quando la Bce aveva aumentato gli acquisti di titoli a 80 miliardi di euro e annunciato le operazioni di rifinanziamento a quattro anni TLTRO II), giustificherebbero probabilmente una politica monetaria molto accomodante.
D’altronde, non sarebbe affatto una sorpresa: già nei verbali della riunione di luglio si evidenziava che il Consiglio era generalmente concorde sul fatto che l’incertezza dello scenario richiedeva un potenziamento della retorica, anticipando la necessità di potenziare altri interventi di politica economica per sostenere una ripresa più decisa nella zona euro.
Insomma, diventa probabile che domani la Bce possa annunciare l’estensione degli acquisti nell’ambito dell’APP oltre marzo 2017, data che – comunque – era stata posta come indicativa. I pregi di tale intervento sono ovvi: i rendimenti a lungo termine verrebbero posti in sicurezza, evitando che possano subire gli effetti negativi degli eventi politici più impattanti.
È inoltre difficile che il prolungamento degli acquisti appena ricordati possa essere accompagnato ad altre manovre incisive. In particolar modo, è poco probabile che la Bce faccia riferimento ad un possibile aumento dei volumi di acquisto oltre gli attuali 80 miliardi già nella riunione di domani, considerato che per poter lanciare un inervento di questo tipo sarebbe necessario affrontare la sventurata ipotesi di un rallentamento più marcato della domanda interna. Inoltre, è bene ricordare che estendendo gli acquisti fino a giugno 2017, il bilancio Bce già aumenterebbe di altri 240 miliardi ed arriverebbe a 4,3 trilioni di euro (40% del PIL) dai 2,5 trilioni di marzo 2015 (22,8% del PIL).
Tra le altre misure, è possibile che la Bce possa scegliere di elevare nuovamente il tetto sulla quota di ogni titolo senza CACs che può detenere, ora al 33%, ma subordinatamente alla verifica che non crei una minoranza di blocco in caso di ristrutturazione. Una modifica, non probabile ma pur sempre possibile nella riunione di domani, che potrebbe liberare spazio in particolare sulla curva tedesca. Alternativamente, è possibile che l’istituto monetario possa scegliere di incrementare il limite del 33% sul debito di ogni singolo emittente soggetto al programma, per un vincolo che per la Germania diventerebbe stringente prima della fine del programma.
Infine, vi è un punto non sottovalutabile: la possibile deviazione dall’attuale regola degli acquisti in base alle quote capitale. Un intervento di questo tipo domanderebbe tuttavia come condizione di base l’osservazione di dislocazioni persistenti e molto rilevanti sui mercati. Il rischio per gli acquisti in eccesso delle quote capitale potrebbe essere fatto ricadere sulle Banche centrali nazionali, mantenendo però a livello centrale la decisione su quanto acquistare. Oppure, la Bce potrebbe decidere di acquistare fino a un massimo del 33% di ogni emittente, e ripartendo i rischi come descritto sopra. Appare ovvio come la scelta di deviare dall’applicazione stretta della regola delle quote capitale sposterebbe ovviamente gli acquisti sui titoli della periferia, con benefici sul costo del debito periferico e nel contempo sarebbe meno distorsivo per i mercati core.