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Guerra commerciale USA / Cina: dobbiamo avere paura delle ripercussioni?

Proprio mentre sembrava che tra Stati Uniti e Cina potesse aprirsi un positivo dialogo in  grado di attenuare le conseguenze più gravi delle tensioni in atto sul fronte dei dazi commerciali, la settimana si è chiusa con una nuova escalation della guerra commerciale, per il momento dialettica. Appare infatti evidente come – almeno per ora – il contrasto fra Stati Uniti e Cina sia esclusivamente in termini di dichiarazioni, e che per poter comprendere che cosa accadrà realmente tra le due parti (e rispettivi “alleati”) bisognerà attendere almeno qualche mese.

Tuttavia, quanto sopra non sta certamente a significare che non vi possano essere conseguenze già nell’immediato: si pensi, a titolo di esempio, a tutti quegli operatori che questa primavera dovranno assumere le opportune decisione sulle proprie politiche di produzione, in ambito agricolo e industriale, oppure ancora ai riflessi sugli investimenti azionari, e non solo.

Cerchiamo allora di fare il punto su tutto ciò che sta accadendo, e cercare di ipotizzare quali potrebbero essere le ripercussioni nel breve e nel lungo termine.

Cosa è accaduto negli ultimi giorni tra USA e Cina

La guerra degli Stati Uniti sui dazi commerciali ha registrato nuovi importanti sviluppi nella seconda parte della settimana, dopo che i primi giorni della settimana scorsa sembravano essere improntati su qualche tiepida apertura al dialogo (che tuttavia dovrebbe ancora essere nelle ipotesi dei negoziatori, magari lontano dai riflettori).

Dopo qualche battibecco reciproco inerente acciaio e alluminio, con i timori di dazi più ampi che sono in parte rientrati dopo l’esclusione di diversi Paesi dall’applicazione delle misure di salvaguardia, l’attenzione si è spostata sul commercio bilaterale cino-americano, con l’amministrazione a stelle e strisce guidata da Donald Trump che ha annunciato dazi del 25% su oltre 1.300 prodotti importati dalla Cina, per un controvalore sull’import che il Peterson Institute for International Economics ha stimato in circa 46 miliari di dollari.

L’elenco dei settori che dovrebbero essere colpiti da questa nuova ondata di dazi tariffari è piuttosto esteso, ma la parte principale è costituita dai prodotti meccanici ed elettrici (per oltre 34 miliardi di dollari). Come era lecito attendersi, la Cina non è certamente rimasta indifferente, e ha immediatamente risposto con dazi su importazioni dagli Stati Uniti per un controvalore di quasi 50 miliardi di dollari, che prendono di mira i prodotti agricoli e soprattutto i mezzi di trasporto (inclusi aerei e imbarcazioni).

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    Una guerra di dichiarazioni, per ora priva di effetti concreti

    Ad ogni modo, come abbiamo già avuto modo di rammentare qualche riga fa, per il momento la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è puramente dichiarativa, considerato che né i dazi americani, né quelli cinesi, sono immediatamente operativi.

    In particolar modo, gli Stati Uniti hanno previsto un periodo di raccolta di feedback interni fino al 22 maggio: in questo frangente l’amministrazione raccoglierà riscontri e opinioni anche da parte dei soggetti interessati da questo trattamento, e solo dopo avvierà un’ulteriore periodo di osservazione di 180 giorni.

    In altri termini, non solo è bene non attendersi nessun riflesso immediato, ma è altresì opportuno non attenderlo nemmeno nei prossimi mesi. Periodo di tempo, questo, in cui si aprirà una formale fase negoziale fra le parti in causa che, probabilmente (questo è almeno lo scenario principale degli analisti) potrebbe concludersi con un netto ridimensionamento delle misure.

    Perché gli Stati Uniti vogliono imporre i dazi commerciali

    Gli Stati Uniti rimandano al mittente le accuse di mosse sleali, ricordando che ad aver avviato la guerra commerciale, non certo in tempi recenti, è stata proprio la Cina. E non è un caso che l’individuazione dei prodotti oggetto della “rappresaglia” sia stata effettuata in modo da esporre la controparte alla pressione delle imprese danneggiate dall’aumento delle barriere daziarie, ed è quindi essa stessa uno strumento negoziale.

    I dazi saranno poi utilizzati dall’amministrazione Trump anche per poter ottenere delle limitazioni volontarie alle esportazioni di alcuni Paesi, sotto la “velata” minaccia di una estensione di tale trattamento. A dimostrazione di ciò, si noti come la Corea del Sud sia stata temporaneamente esentata, come altri 33 Paesi, dall’applicazione dei dazi del 25% su alluminio e acciaio, ma diversamente da altri Paesi, Seul ha recentemente concordato una riduzione dell’export di acciaio verso gli Stati Uniti del 21,2% rispetto al volume del 2017, che le garantisce un’esenzione permanente dai dazi sul resto delle vendite.

    Oltre ad ipotizzare che, dunque, questa ondata di dazi sarà probabilmente utile per poter indurre gli altri Paesi ad assumere un atteggiamento commerciale diverso nei confronti degli USA, non è ancora ben chiaro quali siano i reali obiettivi dell’amministrazione Trump, in particolare nei confronti della Cina.

    È vero che in passato Trump ha ben puntato l’indice contro le politiche commerciali sleali della Cina, alle quali ha attribuito l’ampio deficit commerciale bilaterale, ma è anche vero che lo spettro di dichiarazioni recentemente salite alla cronaca è molto vasto e vario, fino ad arrivare a sostenere che si vuole impedire alla Cina di sottrarre la leadership americana in numerosi campi tecnologici “per ragioni di sicurezza nazionale”.

    Al di là di tali dichiarazioni di facciata, è ipotizzabile che gli USA puntino a ottenere maggiori aperture dei mercati cinesi alle imprese estere. Se così fosse, il risultato finale non sarebbe affatto negativo per l’economia globale, ma è per il momento troppo presto per poter avanzare simili interpretazioni, peraltro minate alla base dalle affermazioni più recenti del presidente Trump, che ha detto di aver dato istruzione di studiare dazi di salvaguardia su altri 100 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina in risposta alla “ingiusta” rappresaglia del governo cinese.

    Il commercio internazionale verrà danneggiato?

    Generalmente, la guerra commerciale è un’iniziativa che non genera vincitori, ma solo vinti. Pertanto, molti analisti si domandano se effettivamente questa situazione in formazione potrà o meno danneggiare il commercio internazionale, per il momento impegnato in una fase di faticosa ripresa, dopo alcuni anni di rallentamento.

    Ricordiamo che la crescita del volume mondiale dell’export calcolato dal CPB è rimasta dal marzo 2017 sempre pari o superiore al 4% a/a, un livello sopra la crescita media annua degli ultimi dieci anni e che le indagini congiunturali, sebbene in flessione negli ultimi mesi, mostrano ancora una diffusione della crescita degli ordini esteri compatibile con tassi di crescita sostenuti del commercio mondiale a inizio 2018.

    Cosa attendersi, allora, nei prossimi mesi?

    Considerato che la situazione non è affatto chiara, tutto ciò che possiamo ipotizzare è qualche velato scenario evolutivo, in cui il danno diretto sarà ancora piuttosto limitato, considerato che le misure devono essere ancora implementate, e non c’è alcun legame fra il rallentamento di ordini e produzione osservato soprattutto in Europa a inizio 2018 e gli annunci del governo americano.

    Inoltre, sebbene fossero implementate, le barriere innalzate da Cina e USA sul commercio bilaterale potrebbero portare alla sostituzione dei flussi con importazioni da altri Paesi, e inoltre potrebbero essere facilmente in parte aggirate dalle imprese ricorrendo a meccanismi di triangolazione.

    Fermo restando che, dunque, quasi sicuramente una parte dei timori sono immediatamente smentibili, è anche vero che potrebbero manifestarsi effetti indiretti non sottovalutabili, come quelli legati al freno all’attività economica derivante dalle scelte economiche basate su pianificazione a lungo termine. Per esempio, i timori di guerra commerciale hanno già prodotto un impatto negativo sul clima di fiducia delle imprese, e se l’incertezza sulle condizioni di accesso ai mercati persisterà, è possibile che gli investimenti diretti esteri e la spesa in conto capitale delle imprese possano diminuire.

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    Sull'autore

    Roberto Rossi

    Perito Informatico ma appassionato del trading online con i CFD. Mi occupo di stesura articoli sul trading online, CFD e forex.