È stata una brutta abitudine e, probabilmente, presto sarà solo un ricordo. Parliamo della prassi, adottata da numerose compagnie telefoniche, di adottare piani di addebito tariffario a “28 giorni” (cioè, 4 settimane) rispetto a quanto avveniva in precedenza, quando l’addebito coincideva con un mese. Una prassi che – per i motivi che vedremo – non è piaciuta all’Agcom, che ha di fatto deliberato l’abolizione di tutte le proposte tariffare a 28 giorni su rete fissa, telefono, Adsl o fibra ottica, stabilendo che i canoni debbano essere esclusivamente mensili. Ma cosa cambierà realmente?
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Cosa è avvenuto
Quanto avvenuto è già noto a tutti coloro che sono titolari di un contratto di telefonia. Da qualche anno le compagnie telefoniche hanno iniziato a sostituire i vecchi addebiti mensili con i nuovi addebiti “ogni 4 settimane”. Naturalmente, passando a questo tipo di tariffazione si veniva a creare uno scompenso temporale tra il “prima” e il “dopo”, con la conseguenza che l’addebito scattato ogni quattro settimane ha generato un rincaro medio dell’8,6% dei prezzi dei servizi di telefonia e, soprattutto, una ridotta trasparenza tariffaria per gli utenti.
Cosa ha deciso l’Agcom
Dopo una lunga analisi e una consultazione pubblica indetta dalla stessa Authority, Agcom si è reso conto che questa tendenza a tariffare ogni 28 giorni e non più ogni mese riduceva la “libertà di scelta degli utenti” e, in aggiunta, vanificava “anche considerate le tempistiche ed il contesto di mercato, la ratio sottesa all’esercizio del diritto di recesso nel caso di mancata accettazione di modifiche contrattuali”.
Insomma, proprio a causa della tariffazione “anticipata” è divenuto molto più complicato per gli utenti effettuare i confronti delle offerte in vigore sul mercato, considerato che alcune proposte sono a 28 giorni, altre al mese. Il prezzo, giudica l’Authority, è così divenuto “incerto”. E il problema, si tenga conto, vale principalmente per quanto concerne le tariffe fisse, dove regnano abbonamenti post pagati. Ed ecco perchè Agcom dichiara essere necessario fissare su base mensile la cadenza della fatturazione nella telefonia fissa e nelle offerte convergenti (cioè quelle che integrano fisso e mobile).
Perché solo il fisso? E nel mobile che succede?
Con la delibera preannunciata, Agcom ha chiesto a Vodafone e Wind di cambiare le proprie offerte anche per gli utenti già attivi, e a Fastweb e Tim di bloccare il passaggio annunciato a offerte a 28 giorni, ancora inattivo. Il tempo per potersi adeguare è piuttosto stringente: 90 giorni.
Tuttavia, si tenga conto che la sentenza Agcom riguarda esclusivamente i contratti di telefonia fissa e quelli misti fisso-mobile, ma non quelli per cellulare. Per la telefonia mobile Agcom si è infatti limitata a invitare che le tariffe siano “al minimo” di 28 giorni, e che gli operatori avvisino gli utenti via SMS dell’avvenuto addebito, al fine di contribuire una migliore trasparenza del settore.
Insomma, se nel fisso Agcom è intervenuta in maniera piuttosto decisa, nel mobile l’Authority “ritiene opportuno un intervento che garantisca una facile comparazione delle offerte e escluda la possibilità che ulteriori variazioni del periodo di rinnovo delle offerte commerciali nascondano, in realtà, aumenti del prezzo dei servizi interessati“.
Si ritiene opportuno, confermando anche in questo caso l’opzione sottoposta a consultazione pubblica, prevedere un parametro temporale certo per il rinnovo delle offerte/fatturazione, che renda effettiva la libertà di scelta degli utenti e consenta anche un agevole controllo dei consumi e della spesa, individuato su base mensile o suoi multipli (applicabile, per le medesime ragioni di tutela degli utenti, anche in caso di offerte bundle fisso/mobile)
– si legge poi nella delibera.
Gli operatori che faranno?
A questo punto, è lecito attendersi una risposta piuttosto dura tra gli operatori, e soprattutto da parte di Vodafone e Wind, che hanno già lavorato parecchio (anche di più!) per poter cambiare i propri piani tariffari a 28 giorni (Fastweb e Tim lo hanno annunciato ma non lo hanno ancora fatto).
Riteniamo dunque probabile che la battaglia accesa da Agcom vada a finire al Tar, con il presupposto di ritenere che la mossa dell’Authority non abbia adeguato fondamento giuridico. Gli operatori hanno già fatto sapere di ritenere che l’utente sia comunque ben tutelato a sufficienza anche in un regime di tariffazione a 28 giorni, grazie alla presenza del diritto di recesso, esercitabile entro 30 giorni dopo aver ricevuto la notizia che la propria offerta passa dalla tariffazione mensile a quella a 28 giorni.
Di fatti, Asstel, l’associazione di categoria delle compagnie, ha già reso noto che
Agcom non ha il potere di disciplinare il contenuto dei rapporti contrattuali fra operatori telefonici e clienti, quale ad esempio la durata di rinnovo e dei cicli di fatturazione, ma può soltanto intervenire a tutela della clientela in materia di trasparenza informativa
per poi aggiungere che
sul tema è intervenuto di recente anche il Tar del Lazio ribadendo la piena legittimità da parte degli operatori di introdurre modifiche unilaterali al contratto, fatto salvo il diritto di recesso del cliente in caso di mancata accettazione delle modifiche stesse.
E voi che ne pensate?